La costante della Disney

Come la casa di Topolino non è cambiata da Biancaneve a Frozen

Introduzione

Cosa hanno in comune Biancaneve e i sette nani e Ribelle: The Brave? E cosa accomuna Hercules con Lilli e il Vagabondo? La risposta, stranamente, è: molto più di quello che ci si aspetta.

Che la Disney, con oltre 400 titoli originali, quasi 70 miliardi di dollari di fatturato nel 2019 e una piattaforma di streaming che, al momento del lancio, contava più di 50 milioni di iscritti, sia una delle più influenti compagnie di intrattenimento della storia è un fatto ben assodato. Le recenti acquisizioni di Marvel, Lucas Film e Fox (ma anche la meno recente fusione con la Pixar nel 2006) ne fanno senza dubbio una colonna portante dell’intrattenimento mondiale.

Dal 1933, anno di lancio del corto I tre porcellini, la Disney ha accompagnato i bambini (e non solo loro) durante la loro infanzia e, nonostante il mondo sia mutato in centinaia di aspetti, il successo della Disney non è praticamente mai stato scalfito.

Si potrebbe pensare che la casa di produzione di cartoni animati più famosa al mondo abbia avuto una straordinaria capacità di leggere questi cambiamenti, di interpretare al meglio le nuove tendenze e di far incarnare ai propri eroi ed eroine lo spirito dei tempi.

Ma è davvero così?

Disney Animation

Per rispondere a questa domanda, abbiamo analizzato i dialoghi di tutti i film d’animazione della Disney dagli anni Trenta ad oggi e su questi abbiamo effettuato alcune indagini linguistiche, con l’obbiettivo di trovare le parole più rilevanti nell’universo Disney.

La ricerca delle dieci parole più frequenti e significative ha prodotto alcuni risultati interessanti. Salta immediatamente all'occhio la presenza inaspettata del termine gay nelle decadi 1940 e 1950, molto presente in canzoni e dialoghi con l'accezione ‘felice’, ‘gaio’, ma il cui uso, per ovvi motivi, subisce successivamente un rovinoso declino.

Durante gli anni Ottanta, decade non facile per i prodotti Disney, possiamo vedere dei termini che difficilmente assoceremmo a dei prodotti per famiglie: parole come catastrophe (‘catastrofe’), miserable (‘misero’, ‘infelice’), hopeless (‘disperato’) ci danno la misura di titoli atipici dell'universo Disney quali Taron e la pentola magica (1985) e Red e Toby (1981).

Nell'ultima decade,infine, che va dal 2010 in poi, ‘connesso’ è uno dei termini più rappresentativi, dato che richiama l'habitat digitale nel quale siamo sempre più immersi.

Un’altra analisi legata alle parole su cui ci siamo concentrati è stata l'evoluzione nel corso degli anni di quarantadue termini significativi nell'universo Disney. Non sorprende che parole come ‘mamma’, ‘papà’, ‘figlio’ e ‘figlia’ ricorrano omogeneamente in tutte le decadi analizzate. Altri termini che si ritrovano un po’ ovunque nel tempo sono quelli che si riferiscono ai concetti di ‘regno’ e ‘maestà’, con ‘re’ e ‘regina’ che risultano essere, in linea con le tematiche fiabesche di molti cartoni, fra le più comuni.

È quindi cambiato il linguaggio della Disney? Sicuramente, ma con un'evidente costanza nell’utilizzo di termini appartenenti a campi semantici quali il ‘famigliare’ ed il ‘fiabesco’.

Ma di cosa parlano i cartoni della Disney? Facendo emergere i temi maggiormente presenti nei testi, abbiamo riscontrato diverse tematiche ricorrenti: il tema riconducibile alla fiaba, con re, regine, castelli e foreste magiche, e quello che raggruppa gli elementi dell’avventura, spesso in dimensioni fantastiche, sono senza dubbio fra i più frequenti e trasversali in tutta la produzione. Altro tema fortemente connesso alla dimensione delle fiabe è la classica quest, la ricerca di un qualcosa (oggetto o persona) attraverso un viaggio che permette all’eroe di formarsi e crescere.

Non sorprende, inoltre, trovare un legame fra i cartoni con protagonisti animali né riscontrare una tematica comune in quei film che hanno ambientazioni esotiche e naturalistiche. Alcuni temi più legati alla tecnologia e al ritmo serrato della modernità si riscontrano, per motivi ovvi, più facilmente dagli anni 2000 in poi.

Incuriositi da queste ricorrenze, abbiamo deciso di esplorare quanto i cartoni Disney fossero simili tra loro. Il risultato? Sorprendentemente, i film d’animazione della Disney sono tutti molto simili tra loro.

E così la storia di Merida di Brave risulta essere simile a quella di Biancaneve, con ben settantacinque anni di distanza, e il modo di raccontare le vicende de La Principessa e il Ranocchio ha, vent’anni dopo, qualcosa in comune con la narrazione de La Sirenetta.

Anche l’utilizzo dei colori nel tempo mostra un andamento inaspettato. Chi non avrebbe dato per scontato che la scelta dei colori, forte del progresso tecnico ma anche di gusti moderni molto più ‘pop’, non avrebbe virato verso tinte più accese e sgargianti?

E invece la Disney conferma di mantenere una sua linea ben precisa anche sul fronte della colorazione, mostrando un andamento regolare e un utilizzo pressoché omogeneo nel tempo di tutti i colori.

Dopo quanto visto sopra, si può davvero parlare di evoluzione Disney? Nonostante sia evidente che la Disney abbia dovuto in qualche modo adattarsi allo scorrere del tempo e al cambiare del pubblico a cui si rivolgeva, sembra che la struttura centrale del ‘racconto Disney’ sia sempre la stessa. Come evidenzia Alberto Mario Banti, professore di storia presso l’Università di Pisa e autore di Wonderland: la cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, le produzioni seguono uno schema ben preciso: un’armonia iniziale, una minaccia (tendenzialmente esterna), la formazione di un team eroico o comunque l’intervento di un eroe/eroina, il confronto con il villain e la risoluzione finale.

Nonostante le molteplici innovazioni, una necessaria operazione di ‘restyling’ per tenersi al passo con i tempi, il trattamento in chiave più moderna di vecchi topos della fiaba (esempio magistrale e particolarmente acclamato, è la rivisitazione del ‘bacio del vero amore’ in Frozen, trasformato nell’amore incondizionato fra sorelle), la Disney rimane ben ancorata ai suoi temi e al suo modo di raccontare, mantenendo, evidentemente con successo, una propria riconoscibilità nel tempo. Con le parole del professor Banti: “La Disney è sempre stata molto mainstream”.

Non solo Animation...

La produzione della Disney, però, non si limita ai film d’animazione ma comprende anche film in tecnica mista e live action. Uno dei confronti naturali a cui abbiamo pensato nel corso dell’analisi è stato proprio fra queste tre tipologie, con particolare attenzione al linguaggio utilizzato. La domanda che ci siamo posti è ancora una volta la stessa: come si è evoluto il linguaggio della Disney all’interno di queste tre categorie?

Le battute dei personaggi di un cartone animato devono chiaramente essere comprensibili dal pubblico dei più piccini. Per questo abbiamo pensato di misurarne la complessità tramite alcuni indici.

Questi indici hanno reso evidente per l’animazione e per i live action un calo considerevole della complessità negli anni Ottanta mentre, per contro, si evidenziano picchi particolarmente elevati nelle decadi degli anni Sessanta e degli anni Novanta. La storia degli anni Ottanta disneyani, infatti, risulta essere un po’ particolare e questa decade è comunemente definita all’interno del mondo degli animatori come ‘medioevo disneyano’, in relazione soprattutto al periodo immediatamente successivo definito ‘rinascimento’. Questo periodo coincide con l’abbandono di Don Bluth, storico animatore della compagnia, seguito da altri animatori, che lasciano la Disney per fondare una propria casa di produzione, con un conseguente pesante momento di difficoltà a livello direttivo nella casa di Topolino. Gli anni Ottanta produrranno, quindi, diversi insuccessi, fra cui Taron e la pentola magica, considerato come uno dei più grandi flop economici e di gradimento della critica, a causa di tematiche che venivano percepite come troppo ‘dark’ rispetto all’intera produzione.

Si notano invece andamenti leggermente diversi e contrastanti, nei film realizzati con tecnica mista, che, pur mostrando lo stesso declino in corrispondenza degli anni Ottanta, mostrano una continua decrescita nei periodi successivi, in netta controtendenza rispetto alle altre due categorie. Questo andamento, però, risulta facilmente spiegabile con la scarsità di film prodotti con questa tecnica dagli anni Ottanta in poi, con soli due film in questa decade, di cui uno il film musicale – e, dunque, senza testo – Fantasia 2000.

...e non solo Disney!

Nonostante la quasi indiscussa supremazia della Disney nel mondo dell’animazione, altre case di produzione hanno cercato di inserirsi in questo mercato, producendo, tra l’altro, molti cartoni animati ormai considerati cult. Compagnie quali la Dreamworks, casa del famosissimo Shrek e di tutti gli animali di Madagascar, la Universal, produttrice dell’iconica serie di film Alla ricerca della valle incantata o la divisione d’animazione della Sony, che si è recentemente accaparrata l’Oscar 2019 con Spider-Man: un nuovo universo, si sono prepotentemente affermate come rivali del colosso di Topolino.

Ma come hanno gestito l’eredità disneyana queste case nate quasi un cinquantennio dopo Walt Disney? Sono riuscite a trovare una particolarità che le rendesse facilmente distinguibili?

Per rispondere a questa domanda basta uno sguardo alle storie e ai temi affrontati. Prevedibilmente, le macro-aree che trattano soggetti legati al mondo animale e alla biologia, alle persone e alla geografia risultano essere comuni a tutte le case di produzione. Un altro tema ricorrente è quello della città e delle costruzioni, a eccezione della Universal, che, trattando nella maggioranza dei suoi film ambientazioni e personaggi legati agli animali e alla natura, non presenta questo tema. Sempre la Universal, però, è anche l’unica casa, curiosamente, ad affrontare il dominio della geologia.

La storia, invece, è un argomento più trasversale fra le case selezionate e compare nella Disney ma anche nella Dreamworks, che è infatti produttrice de La strada per Eldorado e Il principe d’Egitto, nella Warner, autrice de La spada magica: alla ricerca di Camelot e nella Sony, con Pirati! Briganti da strapazzo.

Siamo andati allora a cercare le dieci parole più significative per ogni casa produttrice e, anche in questo caso, si può vedere come non ci sia una spiccata differenza tra esse. La componente famigliare, con parole quali mom e dad, è frequente in ogni casa produttrice, così come i termini riconducibili alla componente dell’amicizia e del gruppo (come guys).

Ovviamente possiamo notare anche qualche peculiarità dovuta ai singoli prodotti che caratterizzano i diversi studi di produzione. Un esempio su tutti, la Aardman, famosa per Galline in fuga, presenta fra le parole più importanti bird e escape. Ciononostante, la tendenza all’omogeneità già vista nell’analisi precedente è, anche in questo caso, facilmente riscontrabile.

Conclusioni

Ritornando alla domanda iniziale, dunque, la risposta a cosa hanno in comune cartoni animati come Biancaneve e film d’animazione moderni come Brave è proprio il marchio Disney. L’evoluzione della Disney, infatti, risulta essere più una riconferma che una vera e propria evoluzione e l’analisi della produzione in chiave temporale mostra una somiglianza di fondo in tutti gli aspetti. Vediamo, dunque, come molte parole siano ricorrenti, come i temi vengano riproposti ciclicamente e addirittura i colori non mostrino significative modifiche nel tempo. E questo standard non rimane solo in casa Disney ma risulta essere qualcosa con cui anche le altre case di produzione devono necessariamente confrontarsi e, possibilmente, adeguarsi.