Viaggio nell'influencer marketing

Il fenomeno

L’esplosione del fenomeno dell’influencer marketing è avvenuto negli ultimi anni e si è presto affermato come vera e propria rivoluzione sociale. Nato come evento di nicchia, si è trasformato ben presto in un cavallo su cui puntare, ma sarà davvero vincente?

Karim de Martino, VP Business Development Europe a Open Influence: «Fino al 2009-2010 si pensava che solo celebrity, cantanti e sportivi potessero influenzare i consumatori. All’estero questa consapevolezza è arrivata prima, circa 2 anni rispetto all’Italia. Nel 2010 quando ho iniziato a lavorare al progetto The Blonde Salad, era davvero un’impresa spiegare a brand e agenzie come fosse possibile che un blog personale facesse 20 milioni di visualizzazioni al mese».

Google Trends: nel 2017 si osserva la crescita maggiore nelle ricerche dei termini correlati al mondo instagram e al fenomeno analizzato.

L’influencer marketing nasce con l’esordio delle influencer nel panorama delle nuove opportunità dell’era dei millenials, quella della crisi economica e della necessità di trovare una nuova strada da percorrere, quella della crescita e dello sviluppo dei social network. Siamo partite da questi ultimi per inquadrare lo stato dell’arte ed immaginare quale sarà il futuro delle influencer e dell’influencer marketing.

La percezione sociale

Vero e proprio strumento di giornalismo partecipativo, Twitter è il simbolo della democratizzazione dell’opinione a servizio di uno dei più alti dei principi: la libertà di stampa. L’analisi dei dati di Twitter offre un’istantanea con cui visualizzare la dinamicità del fenomeno “influencer”. Seguendo le emozioni, i commenti e le opinioni, Twitter è non solo lo strumento con cui valutare le percezioni degli utenti, ma il luogo di scambio di idee e strategie professionali. La sentiment analysis su 20000 tweet fornisce due prospettive interessanti. I riferimenti alla parola influencer hanno un linguaggio nuovo, senza definizioni, tra il colloquiale e il dialettale con una forte carica ironica. Non mancano le reazioni polemiche che caratterizzano gli ambiti della società, della politica e dell’intrattenimento.

Sentiment analysis sul termine “influencer”.

Le influencer sono tutte “capre”, “incompetenti”, “sgallettate”, “inutili” che non hanno un preciso lavoro. Questo il tenore della la maggioranza dei commenti. Una generalizzazione e le generalizzazioni fanno male al pensiero critico, limitano, atrofizzano, impediscono di guardare oltre la misera e avvizzita fortezza delle proprie convinzioni.

Tant’è che se ci concentriamo sul trend topic “influencer marketing” si apre tutt’altro scenario.

Sentiment analysis sul termine “influencer marketing”.

Dell’influencer marketing si coglie tutto il potenziale in ottica professionale. Si pubblicizzano corsi, accademie e se ne studiano gli sviluppi. L’Influencer Marketing è una strategia di Digital Marketing che utilizza la figura dell’influencer, ossia colui che ha un certo seguito con i suoi post sui social, per promuovere il proprio brand con l’utilizzo degli strumenti messi a disposizione da quel determinato social medium.
Instagram vetrina commerciale

Diretto, user-friendly, Instagram non è solo il social migliore per farsi vedere, ma il “cuore” del fenomeno. Alle dirette interessate non piace definirsi “influencer”, ma piace moltissimo dirsi “content creator”.

Federica di Nardo: «Dietro una foto c’è tanto lavoro, per noi la cosa più importante è raccontare una storia, ma soprattutto farlo in modo diverso e con una visione estremamente personale».
Federica Micoli (closetteblog): «Come in tutti i lavori ci sono persone che lo fanno con serietà. Non amo la parola influencer, mi piace di più creatrice di contenuti, ma di fatto è così che veniamo identificati».

Qualunque sia la definizione, dalla selezione su Instagram di 50 influencer è emerso che una strategia editoriale c’è, proprio come se il profilo fosse un magazine. Strategie di timing dei post, foto instagrammabili e cromatismi studiati. Ognuna ha una sua linea: fashion, sport, lifestyle, food, travel. Sono questi i settori di riferimento in cui si collocano.  Il settore Fashion è quello che tira maggiormente, soprattutto su Instagram, dove ben il 34% dei post è destinato a marchi del settore, seguito dal Beauty con il 23% dei post. Sul gradino più basso troviamo invece il Food & Beverage con il 16%. Questi tre settori rappresentano ben il 70% dei post sponsorizzati di Instagram (Popup magazine 31/5/2019 – Francesco Corvino).

Numero totale di post sponsorizzati e non nel periodo di analisi.

I settori che sono in rapida crescita sono il Fitness e il Travelling, seguiti dai post “Genitoriali” in cui si riprendono scatti di vita familiare. Instagram è il modo migliore per farsi vedere, è diretto, user friendly e grazie anche all’introduzione delle stories ha accresciuto l’engagement con il proprio pubblico. Ma quali sono gli strumenti per un’azienda per comprendere su quale influencer puntare?

Predisposizione a viaggiare e “ad esserci”

La geolocalizzazione ha permesso di farlo e le aziende non hanno potuto non notarlo. Case editrici per i magazine di viaggio, enti del turismo e nemmeno a dirlo le aziende del Fashion. In fondo le influencer hanno dato la possibilità di accedere a luoghi remoti, in alcuni casi “di nicchia” (e.g. Coachella Festival), a locali di tendenza e perché in quell’occasione, che tanto genera curiosità ed attenzione da parte del pubblico, non essere presente?

Geolocalizzazioni su mappa delle influencer durante il periodo di analisi.

Engagement

Abbiamo individuato 5 cluster che rappresentano il trend dei like delle nostre influencer. Abbiamo, altresì, individuato i momenti in cui hanno avuto maggior riscontro da parte del pubblico: matrimoni, figli, accoglimento di animali, sono queste le cose che piacciono al pubblico. Per un’azienda non c’è momento migliore per attirare attenzione che essere sponsor in un matrimonio o fornire prodotti al figlio appena nato di una delle influencer del momento.

Cluster analysis basata sul numero di like medio mensile.

Shipping

Le relazioni contano, generano seguito. Monitorandole ed incrociando con esse anche la similarità tra influencer per prodotti pubblicizzati, è possibile pianificare azioni di marketing operativo che possano aiutare il product placement o siano comunque un buon punto di partenza per attirare una fetta di mercato: è quello che succede a molte startup. Secondo una ricerca di Tapinfluence, ogni dollaro speso nell’Influencer Marketing ne genera 23. Questo accade perché sempre più consumatori (l’84% in base ad uno studio di Nielsen) ritengono i consigli da parte di persone fidate più importanti e influenti di quelli che arrivano dalla pubblicità.

Cosine similarity sulla base delle aziende taggate.

E se parte dell’opinione pubblica non è ancora convinta che quello che era un fenomeno sociale, l’influencer, abbia portato ad una rivoluzione economica o professionale di tutt’altro avviso è stata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale, ispirandosi al Codice del Consumo (Decreto Legislativo n. 206/2005, recentemente modificato nel 2016) nel 2018 ha rinnovato l’invito ad osservare un’etica di trasparenza nel dichiarare che i prodotti sponsorizzati lo sono previo corrispettivo economico e non per mero spirito di condivisione, imponendo così un codice etico da osservare come in qualsiasi altro contesto professionale.

Frequenza hashtag Instagram.

How to be the next?

A conclusione di questo viaggio, dati e interviste alla mano, abbiamo individuato quelle che potrebbero essere definite come le “4 p”dell’influencer marketing e le prospettive future.

Amplificazione

Federica di Nardo: «Il salto di qualità direi che è stato due o tre anni fa. Ho iniziato a fare dei viaggi importanti come quello a Dubai. Quando le grandi pagine o le pagine degli enti del turismo ricondividono gli scatti che crei per loro, il tuo nome risuona e il giro si allarga».

Credibilità

Germana Busca (mammagy): «Penso di essere credibile perché sono state le persone ad affidarsi a me. Il fatto che io sia musicista, mamma, blogger contribuisce a far sentire la mia vicinanza alle persone che apprezzano il mio essere eclettica senza impersonare la classica figura dell’influencer».

Coerenza con i valori aziendali

Federica Micoli (closetteblog): «Io sono brand ambassador di Garnier ed è una grande responsabilità perché significa sposarne i valori. C’è una coerenza nella scelta dei marchi da rappresentare e questo implica dei pro e dei contro, perché non è semplice tener viva l’attenzione delle persone sullo stesso brand»

Prestigio

Federica di Nardo: «Per chi lavora nel digital confrontarsi con testate cartacee è un onore. Per gli instagrammer la carta stampata ha ancora un valore riconosciuto, perché ti inorgoglisce e ti spinge a lavorare sempre meglio per offrire dei contenuti validi e interessanti».

Le persone sono sempre più consapevoli delle modalità di comunicazione e attente ai contenuti. Se c’è chi spera in un futuro ritorno ai blog, c’è chi crede che da qui a cinque anni le influencer potrebbero non esistere più.

Così commenta Daniela Magnani: «Inizialmente, le influencer erano delle ragazze che raccontavano la loro vita normale, ed è stato questo a portarle al successo. In futuro ci saranno operazioni più mirate a coinvolgere il cliente con il supporto di enti e riviste».

Il canale “Grazia Factory”, infine, dà voce alle influencer emergenti più interessanti in ambito fashion, beauty e lifestyle: «Le protagoniste sono più di 20, ognuna con uno stile e una personalità distintiva: dalle talent influencer alle top, fino alle niche-influencer in grado di aggregare un pubblico altamente fidelizzato, con le stesse passioni e interessi. Fonte di ispirazione grazie al rapporto diretto e sincero che instaurano con decine di migliaia di followers, sono espressione di una comunicazione efficace, naturale e immediata, ideale per dare spazio e sostenere aziende e brand con progetti verticali taylor made, potenziati dalla cassa di risonanza di Grazia».

Oggi i microinfluencer rappresentano un punto di rifermento importante, tanto che vengono “costruiti” all’interno delle aziende. Nike ha scelto Nathan Sorrell, per raccontare la sua lotta contro l’obesità attraverso tutti suoi canali social, ponendolo come influencer per una certa nicchia.

Quale che sia il futuro da influencer, di sicuro non basta un post su Instagram. Bisogna avere un contenuto credibile e la sfida di un ragazzo comune come Nathan dimostra che l’influencer di domani potrebbe essere ognuno di noi.

Ringraziamenti
Le influencer intervistate: Federica di Nardo, Germana Busca (mammagy), Federica Micoli (closetteblog), Manuela Vitulli
Le aziende intervistate e che ci hanno ospitato: Grazia, Chanel (Daniela Magnani - Manager PR), Open Influence (Karim de Martino - VP Business Development Europe)
Gli esperti di settore intervistati: Prof. Matteo Facchi (Università di Milano), Valentina Schifilliti (larotten)
Chi siamo:

Nome: Olivia Lanzoni

Età: 29

Luogo: Viareggio (LU)

Professione: PhD Biologia, appassionata di viaggi e lingue straniere

Nome: Giulia Lucherini

Età: 33

Luogo: Massa

Professione: Commercialista, amante dei viaggi avventurosi e ossessionata dalla cultura

Nome: Tina Martino

Età: 56

Luogo: Roma

Professione: Head of Value Proposition and Offering presso Octotelematics, interessata ai temi ambientali

Nome: Barbara Ranghetti

Età: 25

Luogo: Bergamo

Professione: Fisica nucleare, appassionata di viaggi

Nome: Paola Serratì

Età: 30

Luogo: Torino

Professione: Esperta nel settore umanistico-editoriale, dipendente dalla scrittura creativa

Articolo Viaggio nell’influencer marketing. Tutto quello che avreste voluto sapere lo rivelano i dati.

Da tempo si parla di influencer. Scatenano più polemiche del numero di like. Non è molto chiaro né chi siano e né che cosa facciano, eppure sempre più aziende investono sulla loro capacità di “influenzare”. Ma sono davvero destinati a durare?

Chi sono e perché sono così importanti

Blogger, it-girl, macro, micro, nano influencer. Sono tante le definizioni, ma le intervistate preferiscono essere chiamate “content creator”. Federica Micoli ha spiegato: «Come in tutti i lavori ci sono persone che lo fanno con serietà. Non amo la parola influencer, mi piace di più creatrice di contenuti, ma di fatto è così che veniamo identificati».

L’influencer ha una passione o un interesse particolare, ma per farne una professione servono determinazione, tecnica e creatività. Lo sa bene Federica di Nardo, fashion travel blogger, che ha raccontato come è nata la sua avventura con l’apertura del blog:

«Ho iniziato nel campo della moda, perché è una delle mie passioni più grandi. Poi ho sentito l’esigenza di cambiare e i viaggi mi davano quest’opportunità. La cosa più importante è raccontare una storia in modo diverso e con una visione estremamente personale». Il fenomeno

Per ispirare migliaia di persone non bastano i like, tweet o il numero di follower. Attraverso la condivisione di pensieri e di momenti di vita reale e l’interazione sui social si crea un effetto di immedesimazione nei follower che si affidano ai consigli degli influencer. Questo effetto di “vicinanza” genera una potenza comunicativa che non poteva passare inosservata agli occhi dei marketer. Si stima che il fenomeno a livello economico raggiungerà i 10 miliardi di dollari entro il 2020. In Italia il marketing di influenza si afferma tra il 2016 e il 2017, nonostante all’estero fosse un fenomeno consolidato da tempo come ha sottolineato Karim de Martino, VP Business Development Europe a Open Influence:

«Fino al 2009-2010 si pensava che solo celebrity, cantanti e sportivi potessero influenzare i consumatori. All’estero questa consapevolezza è arrivata circa due anni prima rispetto all’Italia. Nel 2010, quando ho iniziato a lavorare al progetto The Blonde Salad, era davvero un’impresa spiegare a brand e agenzie come fosse possibile che un blog personale facesse 20 milioni di visualizzazioni al mese».

Secondo Matteo Facchi, docente dell’Università Statale di Milano, oggi due sono le tendenze del marketing di influenza in Italia: una rivolta a conquistare le grandi masse per mezzo di influencer molto seguite, l’altra più attenta al lancio di brand di nicchia tramite microinfluencer.

La percezione

L’analisi dei dati di Twitter e Instagram offre un’istantanea con cui visualizzare la dinamicità del fenomeno “influencer”. Monitorando le emozioni, i commenti e le opinioni, Twitter è essenzialmente una piattaforma su cui “si sentono” le percezioni sociali, piuttosto che luogo di scambio di idee e strategie professionali. La sentiment analysis su 20000 tweet fornisce due prospettive interessanti. I riferimenti alla parola influencer generano un linguaggio nuovo, senza definizioni, tra il colloquiale e il dialettale con una forte carica ironica. Non mancano le reazioni polemiche che caratterizzano gli ambiti della società, della politica e dell’intrattenimento coniando neologismi carichi di connotazioni “non positive”. L’influencer marketing, invece, quando se ne parla, è riconosciuto a livello professionale con contenuti che spaziano da aggiornamenti, corsi, strategie ad annunci e notizie.

Instagram: la vetrina commerciale

Diretto, user-friendly, Instagram non è solo il social migliore per farsi vedere, ma il “cuore” del fenomeno. Con hashtag, post, video e l’introduzione delle stories è uno strumento di potente efficacia comunicativa per le influencer e per le aziende. Ma come si diventa un influencer di successo? Dalla selezione di 50 influencer è emerso che dietro ogni post c’è una precisa una strategia editoriale: le foto “instagrammabili” sono studiate nei minimi dettagli e pubblicate secondo un certo ordine temporale. Ognuna ha un settore di riferimento: fashion, sport, lifestyle, food, travel. Il 70% dei post pubblicati riguarda le aree fashion, beauty e food, ma cresce un certo interesse per il fitness e le foto di vita reale. Per fare l’influencer contano i tag, perché aumentano il seguito, ma soprattutto la disponibilità a viaggiare. La geolocalizzazione dei viaggi permette maggiore visibilità per i brand e l’accesso a luoghi, locali di tendenza ed eventi come il Coachella Festival. Ancora più importante è la trasparenza nel dichiarare le sponsorizzazioni dei prodotti. Con l’invito dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, rinnovato nel 2018, alle influencer ad osservare un’etica di trasparenza, si sta avviando una fase di maturità di questo tipo di marketing.

Le “4 p” dell’influencer marketing e le prospettive future

A conclusione di questo viaggio tra dati e interviste sembrano essere consolidati i valori di riferimento che potrebbero essere definiti come le “4 p” dell’influencer marketing:

Credibilità «Penso di essere credibile perché sono state le persone ad affidarsi a me. Il fatto che io sia musicista, mamma, blogger contribuisce a far sentire la mia vicinanza alle persone che apprezzano il mio essere eclettica senza impersonare la classica figura dell’influencer». Germana Busca (mammagy) Coerenza con i valori aziendali «Io sono brand ambassador di Garnier ed è una grande responsabilità perché significa sposarne i valori. C’è una coerenza nella scelta dei marchi da rappresentare e questo implica dei pro e dei contro, perché non è semplice tener viva l’attenzione delle persone sullo stesso brand». Federica Micoli (closetteblog) Amplificazione «Il salto di qualità direi che è stato due o tre anni fa. Ho iniziato a fare dei viaggi importanti come quello a Dubai. Quando le grandi pagine o le pagine degli enti del turismo ricondividono gli scatti che crei per loro, il tuo nome risuona e il giro si allarga». Federica di Nardo Prestigio «Per chi lavora nel digital confrontarsi con testate cartacee è un onore. Per gli instagrammer la carta stampata ha ancora un valore riconosciuto, perché ti inorgoglisce e ti spinge a lavorare sempre meglio per offrire dei contenuti validi e interessanti». Federica di Nardo

Le persone sono sempre più consapevoli delle modalità di comunicazione e attente ai contenuti. Se c’è chi spera in un futuro ritorno ai blog, c’è chi crede che da qui a cinque anni le influencer potrebbero non esistere più. Così commenta Daniela Magnani:

«Inizialmente, le influencer erano delle ragazze che raccontavano la loro vita normale, ed è stato questo a portarle al successo. In futuro ci saranno operazioni più mirate a coinvolgere il cliente con il supporto di enti e riviste».

Una di queste operazioni è stata realizzata con lungimiranza dal brand Grazia del Gruppo Mondadori. Il canale “Grazia Factory” dà voce alle influencer emergenti più interessanti in ambito fashion, beauty e lifestyle:

«Le protagoniste sono più di 20, ognuna con uno stile e una personalità distintiva: dalle talent influencer alle top, fino alle niche-influencer in grado di aggregare un pubblico altamente fidelizzato, con le stesse passioni e interessi. Fonte di ispirazione grazie al rapporto diretto e sincero che instaurano con decine di migliaia di followers, sono espressione di una comunicazione efficace, naturale e immediata».

Oggi i microinfluencer rappresentano un punto di rifermento importante, tanto che vengono “costruiti” all’interno delle aziende. Nike ha scelto Nathan Sorrell, per raccontare la sua lotta contro l’obesità attraverso tutti suoi canali social, ponendolo come influencer per una nuova nicchia di mercato da indirizzare. Quale che sia il futuro da influencer, di sicuro non basta un post su Instagram. Bisogna avere un contenuto credibile e la sfida di un ragazzo comune come Nathan dimostra che l’influencer di domani potrebbe essere ognuno di noi.