QUANDO LA LISTA DELLA SPESA
LA SCRIVE INTERNET

Nell’era dei social, siamo davvero liberi consumatori?

Nove arresti, oltre 1.400 tonnellate di prodotti adulterati sequestrati e una truffa per svariati milioni di euro: è l’esito dell’operazione Bad juice, conclusa dalla Procura di Pisa e presentata alla stampa martedì 25 giugno 2019. Succo concentrato di mele spacciato per biologico che di bio aveva ben poco: frutta marcia contenente patulina, sostanza potenzialmente nociva, o, peggio, pesticidi, era l’ingrediente principale di prodotti venduti come di alta qualità.
Questo è soltanto l’ultimo caso di allerta alimentare registrata dalle cronache. Solo in Italia, negli ultimi 20 anni, sono ben 1.800 le allerte segnalate tramite il sistema di allarme rapido della Comunità Europea RASFF, nato proprio a fronte dei molti casi avvenuti alle fine del secolo scorso. Chi non ricorda, per esempio, il caso eclatante del vino al metanolo? Nel 1986 l’Italia fu investita da un enorme scandalo alimentare che minò alle fondamenta la fiducia dei consumatori: l’adulterazione del vino mediante aggiunta di metanolo. La truffa causò numerosi decessi, portando all’attenzione dell’opinione pubblica il tema della sicurezza alimentare.
Nel 1986 non c’era Internet, né tantomeno i social. È vero che proprio il 30 aprile 1986, a Pisa, fu attivato il primo collegamento italiano a internet, ma gli effetti di quella rivoluzione tecnologica erano ancora molto lontani.

12 miliardi
di € di danni da scandali alimentari in Italia tra il 2000 e il 2015
[Fonte Confesercenti]
1.800
allerte alimentari negli ultimi 20 anni in Italia, su 12.612 allerte a livello europeo
[Fonte Comunità Europea]
78%
degli italiani si informa sul web; di cui il 48% tramite i social (+21% dal 2013)
[Fonte Reuters Insitute]

Le due storie, quella di Internet e quella delle allerte alimentari, si intrecciano: il comportamento dei consumatori è condizionato da ciò che le persone leggono sul web e sui social. In che modo questo avviene è l’esito di una ricerca effettuata nell’ambito del Master sui Big Data promosso dall’Università di Pisa, assieme a Normale, S.Anna, CNR e IMT.
I comportamenti dei consumatori non cambiano solo a fronte di allerte e casi eclatanti. Nel corso dell’ultimo decennio sono esplose altre tendenze, come la dieta vegana o quella dei cibi integrali; o come quella dei prodotti senza glutine che stanno conquistando mercato molto al di là dei soli celiaci.

Quanto si spende sulla costa tirrenica


I dati di partenza sono gli incassi riferiti a oltre 4.500 prodotti alimentari nei negozi della catena Unicoop Tirreno nel periodo tra il 2007 e il 2016. Si tratta di circa 200 milioni di articoli acquistati dai Soci Coop nei 195 punti vendita della costa toscana (Massa Carrara, Lucca, Livorno e Grosseto) e di Lazio e Campania. Il giro di affari complessivo di questa porzione di mercato ammonta a quasi 450 milioni di euro.
I 76 punti vendita Super, cioè quelli di dimensione media, rappresentano oltre il 50% del totale degli incassi, mentre i 13 grandi Ipercoop rappresentano quasi il 30% e i 106 negozi di quartiere InCoop, più diffusi sul territorio ma molto più piccoli, rappresentano il 20%.

Sulla mappa sono riportati i punti vendita. L’area di ogni cerchio è proporzionale all’importo delle vendite di ogni singolo negozio.


Delle 1.800 allerte alimentari che hanno interessato l’Italia negli ultimi 20 anni, abbiamo filtrato i venti casi che hanno avuto maggiore impatto mediatico e per i quali fosse possibile ricavare i dati di Google Trends (disponibili soltanto dal 2004). Sono i cosiddetti Food Scares, cioè casi in cui il mercato di alcuni prodotti ha subito uno scossone derivante dalla diffusione di notizie reali o presunte. A questi abbiamo affiancato alcuni fenomeni di tendenza, non definibili allerte ma modificazioni di lungo periodo dei comportamenti dei consumatori. I casi studiati sono sei, tre classificabili come food scaresmozzarella blu, Escherichia coli e olio di palma – e tre definibili tendenze causate da mode o da fattori connessi alla salute: dieta vegana, cibi integrali e prodotti senza glutine.
L’andamento del numero di ricerche su Google di informazioni sugli eventi è uno degli indici che dimostrano l’attenzione dei consumatori per ogni singolo caso.

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Olio di Palma (2014 -2017):

Il caso olio di palma, dal 2014, investe l’Italia e non solo. Il fronte è doppio: quello della salute e quello ambientale. Le notizie relative alla presunta pericolosità di questo prodotto si diffondono a macchia d’olio, costringendo i produttori a cambiare le ricette dei propri articoli. Il dibattito è polarizzato tra coloro che affermano che l’olio di palma è dannoso e quelli che affermano che non è molto diverso da altri grassi alimentari. I dati delle ricerche su Google sono chiari: si è passati dall’ignorare completamente la questione a due grandi picchi, diluiti in diversi anni. A fronte della segnalazione della Comunità Europea, Coop Italia – come altre catene di distribuzione – ha aperto subito una discussione al proprio interno, ponendosi il problema di una graduale sostituzione dell’ingrediente nei prodotti a marchio. Con una differenza di comportamento tra le varie Coop. Unicoop Firenze, per esempio, ha ritirato tutti i prodotti, tenendo gli scaffali vuoti per settimane.
Il dibattito è ancora oggi polarizzato. “La questione della deforestazione – afferma il professor Vincenzo Fogliano dell’Università olandese di Wageningen – è stata usata in modo distorto: se al posto delle palme da olio venissero piantati girasoli, ci sarebbe bisogno di molti più ettari di terra per ottenere una quantità paragonabile di prodotto. La composizione, poi, dell’olio di palma non è molto diversa dagli altri grassi alimentari. Fa bene? Fa male? Dipende da quanto ne mangi!

Senza glutine (2013 – oggi):

Il numero dei celiaci è aumentato notevolmente negli ultimi anni, soprattutto grazie al miglioramento nella capacità di diagnosi di questa malattia. In Italia si è passati dai circa 90.000 censiti nel 2008 ai 206.000 del 2017, fermo restando che stime del Ministero della salute parlano di oltre 600.000 intolleranti al glutine, di cui solo un terzo è stato al momento censito. In molti, però, seguono una dieta gluten free pur non soffrendo di celiachia. Come afferma il professor Fogliano, docente all’Università di Wageningen in Olanda, “se penso di essere intollerante al glutine, compro prodotti senza glutine”.

Cibi integrali (2013 – oggi):

Dal 2013 si sta sempre più estendendo la presenza sugli scaffali dei supermarket di cibi prodotti con farine e ingredienti integrali. Una specie di ritorno al passato, quando la lavorazione era più grezza e artigianale. La tendenza delle ricerche su Google è coerente con questo andamento, con una crescita continua dell’attenzione.

Mozzarelle blu (2010):

Le “mozzarelle dei puffi” arrivarono dalla Germania nel 2010. A causa di un batterio, assumevano al contatto con l’aria una colorazione bluastra. Vennero sequestrate circa 70mila confezioni, e solo dopo una campagna di informazione venne ripristinata la fiducia verso le mozzarelle DOP. Su Google gli italiani hanno cercato informazioni solo nella fase acuta del fenomeno. “Tutt’oggi – affermano Walter Fabbri, responsabile sistemi informativi di Unicoop Tirreno, e Fabio Pellegrini, responsabile qualità – registriamo dei cali di vendite anche a distanza di anni perché le misure correttive adottate nella filiera produttiva non sempre sono state risolutive. L’informazione ufficiale non è stata sufficiente, in questo caso.

Dieta vegana (2014 – oggi):

Nata come evoluzione della dieta vegetariana, la dieta vegana ha cominciato a diffondersi in Italia a partire dal 2014. Si stima che circa l’8% degli italiani segua un regime vegetariano e l’1% vegano. Dal trend delle ricerche su Google l’attenzione appare ben più ampia di questo 1%, segno che certi prodotti sono graditi anche a chi non ha fatto la scelta completamente vegana e di un futuro probabile estendersi del fenomeno.

Escherichia coli (2011):

Nel 2011 arrivarono dalla Spagna cetrioli contaminati dal virus E-coli. Le conseguenze furono circa 17 morti in Germania e panico generale in tutta Europa. Anche in Italia lo scandalo ebbe una certa visibilità mediatica e disorientò i consumatori per molte settimane. Settimane in cui le ricerche su Google esplodono, per poi placarsi.


Il giro di affari della vicenda olio di palma ha superato, per Unicoop Tirreno i 230 milioni di euro in 10 anni, 115 milioni sono stati interessati dalla vicenda mozzarella blu. La regione con il maggiore impatto è stata la Toscana, con quasi 200 milioni di euro, poco più del Lazio, fermo a 190 milioni; circa 40 milioni di euro l’impatto sull’economia della Campania.

Nel grafico sono riportare le cifre relative alle vendite nei 195 negozi di Coop Tirreno, nel totale dei 10 anni di dati in nostro possesso. Cliccando su un riquadro è possibile ricavare il livello di dettaglio inferiore. Da sinistra a destra, le cifre sono relative all’intera area geografica di riferimento, poi ai singoli fenomeni con una suddivisione prima per regioni, poi per province e comuni.


Oltre alla quantità e al trend delle ricerche su Google, quale altro fattore evidenzia la rilevanza mediatica di un fenomeno? Certamente il peso di tv, radio e quotidiani è grande. Nel corso degli ultimi 10/15 anni è però notevolmente aumentato anche il rilievo delle testate online e dei social network. In un meccanismo di lancio e condivisione, gli articoli rimbalzano da un punto all’altro della rete, contribuendo a diffondere le notizie.
Walter Fabbri, responsabile sistemi informativi di Unicoop Tirreno, e Fabio Pellegrini, responsabile qualità, non hanno dubbi in merito: “Da qualche anno abbiamo notato che quando una allerta alimentare viene ripresa anche solo da un giornale online o anche solo da una testata a tiratura locale, questo innesca subito un meccanismo di coinvolgimento dei consumatori e dei nostri soci. E non possiamo come Coop non tenere di conto delle reazioni.

Sul tema della comunicazione, ecco l’opinione di Francesco Sottile, membro del Comitato Esecutivo di Slow Food Italia, associazione da oltre 30 anni impegnata sul fronte della qualità del cibo e della protezione delle tipicità: “La produzione agroalimentare industriale e globalizzata è anche quella che può permettersi con più agilità campagne mediatiche in grado di pressare fortemente l’opinione del consumatore, soprattutto di quello meno attento e conscio delle problematiche ambientali e sociali connesse con il consumo agroalimentare. I mezzi di comunicazione oggi rappresentano uno strumento di informazione importantissimo ma sono, allo stesso tempo, un’arma molto insidiosa nelle mani delle multinazionali dell’agroalimentare. Per opporsi a tale processo si può solo fare moltitudine, coinvolgere le giovani generazioni, utilizzare la loro capacità di farsi mediatori di un messaggio culturale di equilibrio e sostenere la loro sempre più accresciuta consapevolezza su temi di forte connotazione ambientale e sociale che hanno fortissime ripercussioni sulla produzione agroalimentare e sul consumo di cibo.
Mai come in questo momento – aggiunge Piero Sardo, Presidente della Fondazione Slow Food per la biodiversità, nell’intervista che ci ha rilasciatola gastronomia straborda dai mezzi di comunicazione di massa: tutto questo crea un eccesso di comunicazione. Ma questo è servito a cambiare i consumi o è solo uno spettacolo di varietà? Io credo più in questa seconda ipotesi.

Sono oltre 7.500 gli articoli che abbiamo analizzato riguardanti gli eventi di nostro interesse, pubblicati sui siti de “Il Tirreno”, “La Nazione”, “La Repubblica” e “Il fatto alimentare”. Il grafico a bolle riporta le 10 parole più utilizzate negli articoli: più grandi sono i cerchi e più volte appare quella parola negli articoli. Vediamo, ad esempio, che quando si parla di senza glutine, la parola celiachia è ovviamente tra le più frequenti, ma ai primi posti appaiono le parole "salute" e "bambini", segno preciso dell’orientamento degli articoli online. Ancora, dall’analisi degli articoli sui cibi integrali, emerge che tra le parole più utilizzate ci sono parole quali "dieta", "pasta", "cereali" e, anche in questo caso, "salute", parola che appare ai primi posti anche tra quelle più utilizzate negli articoli sull’olio di palma, insieme a "grassi", "qualità", "consumatori" e così via. Per il caso dell’Escherichia coli non ci sono parole predominanti, contrariamente agli altri casi. Tra le parole più frequenti ci sono "acque", "divieto" e "balneazione", poiché il fenomeno non ha riguardato solo l’aspetto alimentare ma anche quello della qualità dei nostri mari. Il fenomeno della mozzarella blu è stato trattato dai giornali utilizzando in maggiore quantità le parole “latte”, “colorazione” e “azienda”, segno di articoli molto centrati sull’argomento. Infine, sul fenomeno della dieta vegana, tra le parole più usate ci sono “alimentazione”, “animali” e “carne”.
L’analisi della frequenza delle parole è sicuramente superficiale, ma rende comunque bene l’idea dei contenuti degli articoli pubblicati sulle pagine online di alcuni dei maggiori quotidiani italiani.


I 7.500 articoli hanno suscitato numerose interazioni Facebook, dai "like" alle condivisioni fino ai commenti. Complessivamente si tratta di oltre 700.000 interazioni. L’articolo più condiviso ha riguardato la dieta vegana: ben 63.045 interazioni totali ha avuto l’articolo “Addio carne e pesce: in aumento il popolo dei vegetariani e vegani in Italia”, pubblicato da Repubblica.it nell’ottobre 2015. Al secondo posto in questa classifica, con oltre 47.000 interazioni un altro articolo dell’agosto 2016 pubblicato su Repubblica.it e intitolato “Proposta di legge Fi: Reato imporre dieta vegana ai figli sotto i 16 anni”. Anche al terzo posto articoli sul tema della dieta vegana. Tra le prime 100 notizie per interazioni Facebook, ben 40 riguardano la dieta vegana, segno di un dibattito ampio e non di nicchia, 23 riguardano l’olio di palma, 15 il caso dell’Escherichia coli, 12 il glutine, 7 i cibi integrali e 3 la vicenda della mozzarella blu.

Il picco delle condivisioni medie degli articoli riguardanti la mozzarella blu si verifica nel 2011 e non coincide in modo preciso con il picco già descritto prima riguardante la quantità di ricerche su Google connesse all’evento. Il motivo è semplice da spiegare: il governo propose al parlamento di cancellare una serie di norme contro le adulterazioni alimentari e l’articolo di Repubblica.it in cui si riportava la notizia fu condiviso e commentato per 22.545 volte! Uno dei processi a rischio di stop era proprio quello sulla mozzarella blu. Il dibattito fu aspro e il governo fu costretto pochi giorni dopo a ritirare quella proposta. Questo dato anomalo conferma la necessità di osservare i dati nel contesto in cui si trovano, quindi non in modo asettico.


Anche per Escherichia coli si vede una coincidenza tra picco di condivisioni Facebook e ricerche Google, pur suscitando molte meno reazioni del caso precedente. Nel grafico vediamo che il numero medio di condivisioni nel 2011 è molto più elevato che negli anni successivi: dal 2013 al 2018 si è avuta una grande quantità di notizie, soprattutto sui quotidiani online locali, tuttavia mediamente molto poco condivise.

Come la visibilità web influenza la spesa

Dalle nostre analisi, emerge una forte relazione fra le vendite Coop e le ricerche on-line degli utenti. In alcuni casi, all’aumentare dell’attenzione mediatica dei consumatori cresce l’ammontare della spesa; in altri, invece, vale il ragionamento opposto. A partire dal numero di ricerche su Google rispetto ad un certo evento, inoltre, abbiamo tentato di prevedere l’importo settimanale delle vendite attraverso tecniche di machine learning.


Nello scatter plot abbiamo riportato, sull’asse x, il numero delle ricerche su Google connesse ai prodotti senza glutine e alla celiachia e, sull’asse y, la somma delle vendite negli store del territorio del comune di Livorno dei prodotti riportanti sulla etichetta la dicitura “senza glutine”. Entrambi i valori sono stati normalizzati per facilità di lettura. Si può notare la chiara correlazione tra l’incremento del numero di ricerche e aumento delle vendite dei prodotti senza glutine. Ogni anno è stato rappresentato con un colore diverso, a evidenziare come la correlazione si sia sviluppata in modo lineare con il passare degli anni.

Conoscendo il numero di ricerche degli utenti sul web, abbiamo stimato l’importo delle vendite Coop. Un esempio riguarda i prodotti senza glutine venduti a Livorno. La tecnica utilizzata comporta la divisione dei dati sulle vendite in due gruppi: il gruppo di training e quello di test. Con il primo gruppo abbiamo ricavato un modello di previsione che abbiamo messo alla prova applicandolo al secondo gruppo. Per ogni valore predetto, abbiamo calcolato un intervallo di predizione, ossia una gamma di valori entro cui si colloca l’effettivo ammontare delle vendite Coop. La regressione lineare è una tecnica non particolarmente raffinata, ma - almeno nel nostro caso - restituisce informazioni significative sull'andamento futuro delle vendite.

Oltre alla semplice regressione abbiamo utilizzato altri metodi più raffinati che, senza scendere in tecnicismi, utilizzano più informazioni contestualmente. Nel nostro caso: i valori passati degli importi incassati, le ricerche su Google, il numero delle news, la quantità di interazioni su Facebook, la dimensione del comune e la tipologia di negozio. Nel caso della città di Livorno e dei prodotti senza glutine, queste tecniche, anche se da migliorare ulteriormente, riescono a predire nella maggior parte dei casi l’andamento futuro e, in alcuni periodi, anche una stima attendibile dell’incasso. Chiaramente queste predizioni possono valere solo nel breve o brevissimo periodo.


In viola, l’andamento delle ricerche su Google sul tema olio di palma e, in blu, l’andamento delle vendite dei prodotti delle categorie biscotti e merendine nei negozi della provincia di Latina. Nell’autunno 2014 le due serie cominciano ad avere una correlazione chiara. I due picchi blu si riferiscono a due settimane di offerte che hanno inciso significativamente sulle vendite. Subito dopo, a fronte dell’incremento delle ricerche su Google, si nota un decremento progressivo delle vendite dei prodotti. Nel 2015 e nel 2016 la correlazione si consolida e il trend delle vendite subisce un calo ancora più consistente. A seguito di queste tendenze, gran parte dei produttori decidono di eliminare l’olio di palma tra gli ingredienti dei propri prodotti.

Città diverse, reazioni diverse

Di fronte a un evento, le città reagiscono in modo diverso. Per ognuno dei sei casi abbiamo diviso i comuni in base al comportamento dei consumatori, raggruppandoli sulla base della similarità negli acquisti.

Un esempio su tutti è il caso dell’Escherichia coli.
Durante l’allerta di giugno 2011 ci sono state aree del Paese che hanno reagito con un calo drastico degli acquisti di cetrioli e germogli di soia, cioè dei prodotti immediatamente connessi con l’evento, e altre aree in cui non si è avuta sostanzialmente nessuna reazione. Nel primo gruppo ci sono Livorno, Grosseto, Massa e gran parte della Toscana, oltre a una parte del Lazio. Nel secondo Gruppo ci sono Napoli, con tutti i negozi della Campania, tutta l'Umbria oltre all’altra parte del Lazio.
A Livorno, per scendere nei dettagli, a partire dal 6 giugno 2011 e fino al giorno 19 dello stesso mese si è avuto un crollo degli acquisti dei prodotti elencati prima, rompendo la stagionalità che caratterizza gli altri anni; mentre a Quarto di Napoli, comune che ospita l’Ipercoop dell’area metropolitana del capoluogo campano, non si notano comportamenti divergenti rispetto all’andamento tipico.
Un'altra suddivisione che appare chiara è tra i comuni marittimi, nei quali in quasi tutti si nota una reazione in concomitanza della rilevanza mediatica dell'evento Escherichia coli con un calo sensibile delle vendite, e i comuni interni, dove, nella gran parte di essi, non si ha tale comportamento. Questo potrebbe essere dovuto dal fatto che sulla costa e nei comuni dallo spiccato turismo estivo, la stagionalità delle vendite è più marcata e, quindi, il fenomeno ha avuto maggiori conseguenze.

Una app per aiutare produttori, negozi e consumatori

Siamo davvero liberi consumatori?", ci siamo chiesti all’inizio di questa storia. In altre parole: il tam tam che si sviluppa sul web quanto è condizionato e quanto condiziona i consumatori? Il progetto qui presentato non è che l’inizio di un potenziale percorso, un assaggio delle possibilità offerte dall’analisi di grandi basi di dati nel contesto dei consumi alimentari. Proviamo ad allargare il raggio di osservazione e a descrivere qui le opportunità che potrebbero aprirsi.

Il tema che abbiamo affrontato si inserisce nello scenario più ampio delle mode, delle tendenze, degli effetti delle fake news, delle camere dell'eco. Altri studi sono stati compiuti: ogni anno Coop Italia produce il rapporto "Economia, consumi e stili di vita degli italiani di oggi", nel quale una vasta parte è dedicata ai consumi alimentari. Inoltre, il Ministero della Salute e la Comunità Europea analizzano ogni dodici mesi l’andamento delle allerte alimentari e la loro gestione. L’Università di Venezia, infine, nel 2016 ha realizzato uno studio sul fenomeno olio di palma, a partire dai dati di un questionario somministrato a un campione di consumatori.
Il nostro studio si differenzia dagli altri in quanto è il primo che affronta la questione a partire da una grande mole di dati di vendita di una delle catene più importanti del Paese.

L’intreccio di questi dati con quelli rilevabili dai media online, da Google Trends e dai social, può consentire di agganciare il sistema di allerta RASFF della Comunità Europea con la rilevanza mediatica in tempo reale, costruendo un indice – sul modello delle allerte meteo con le soglie verde, gialla, arancio e rossa – che predice l’impatto futuro delle vendite dei prodotti alimentari della categoria coinvolta dalle allerte della UE.


Il FOSCA System

Food Scares Alert System, o FOSCA System, è un software che può interessare i produttori e le catene di distribuzione, aiutando a individuare le quantità da produrre e in una gestione dei magazzini più efficiente. Un sistema affidabile di predizione delle vendite dei prodotti coinvolti da allerte alimentari farebbe risparmiare ogni anello della catena di produzione e distribuzione, evitando di immettere sul mercato beni che rimarrebbero invenduti sugli scaffali. Si possono evitare i disastri che abbiamo visto nella storia recente, dal vino al metanolo all'aviaria, fino ai cetrioli contaminati dall’Escherichia coli? Questo strumento fornirebbe a produttori e distributori elementi aggiuntivi per decidere come affrontare le situazioni di rischio. E i consumatori? I veri soggetti vincitori sarebbero loro, perché lo strumento sarebbe in grado di distinguere tra fake e realtà, incrementando la consapevolezza dei propri diritti.

Come funziona

Gli acquisti da parte dei consumatori sono il primo flusso di dati; gli stessi consumatori sono quelli che fanno ricerche su Google e che condividono sui social i contenuti dei media. Nel FOSCA System entrano questi ultimi dati, insieme alle allerte segnalate da RASFF, ed esce un indicatore di quanto la rilevanza mediatica può incidere sui consumi: verde se non si prevedono effetti, giallo se gli effetti sono contenuti, arancio in caso di variazioni significative con necessità di monitoraggi settimanali, rosso in caso di effetti negativi pesanti e necessità di osservazione in tempo reale. Con l’indicatore si estrae una predizione che viene comunicata ai produttori e ai distributori che possono assumere le decisioni conseguenti.


Uno strumento di questo tipo potrebbe essere utilizzato anche per migliorare il sistema dei controlli, facendo emergere proposte dal basso per aumentare la trasparenza. È l’idea di Slow food dell’etichetta narrante. “Un’etichetta che ha valore legale, - aggiunge Sottile - in aggiunta a quella di legge, attraverso la quale il produttore si racconta al consumatore abbattendo le barriere della distanza tra area di produzione e zona di commercializzazione. Il numero di capi di bestiame, il modo di allevarlo, di alimentarlo, il metodo di trasformazione delle materie prime, il modello agricolo applicato, le scelte tecniche operate sul piano agronomico, le modalità di raccolta e frangitura delle olive, sono alcuni esempi delle informazioni che la nostra etichetta è in grado di trasmettere, facendo proprio comunicazione attraverso un racconto.

Ma il futuro che cosa ci riserverà? Quali nuove rivoluzioni intrecceranno web e consumi alimentari? La suggestione viene dal professor Fogliano: “tutti avremo il nostro barcode con le informazioni del nostro Dna sul rischio di malattie cardiovascolari: sarà il momento della nutrizione personalizzata e il fattore salute diventerà più importante di adesso. I produttori potranno realizzare cibi esattamente creati per una singola persona o per categorie. E avremo una app che ci indicherà, avvicinandosi a uno scaffale, quale prodotto è stato sviluppato solo per noi.